Il Casale dei Sette Gatti

IL CASALE DEI SETTE GATTI
storie di peccati, eccessi, innocenze ed amicizie
ovvero
“10 anni alla grande, verso la fine di un secolo minore”

PROLOGO
Con la coda a periscopio i sei giovani felini seguivano il passo felpato di mamma gatta lungo i filari in leggero pendìo.
Sembravano ammaestrati nel seguire, serrati uno dopo l’altro, l’eretta propaggine caudale della loro genitrice. Che venissero dall’Egitto o da Marte, quei felini caratterizzavano con la loro presenza tutto il territorio del casale, anche quando era stato abbandonato.
Più tardi, appena si accorsero di nuova presenza umana attraverso i vetri ghiacciati dai venti di nordest, i gelidi venti siberiani, più taglienti della tramontana, presero a sostare, in posa, anche sulle soglie delle finestre, forse inconsciamente attratti da quel poco di calore che proveniva dalla fioca luce delle candele, o dal riverbero del camino.
Comunque per tutto il pendìo si stendevano alberi di frutta e d’ulivi, torti e ricurvi dal vento, accanto ad una strada sterrata che congiungeva la sommità della collina alla strada comunale di sotto.
Di quelle ultime testimonianze di epoca rurale, agli estremi confini settentrionali della città, faceva parte la tenuta. Proprietario un principe, erede di antichi latifondisti, che aveva affidato ad un amico fidato la guardianìa del fondo.
Più di sessanta ettari collinari, coltivati in parte a cereali e granaglie, in parte destinati a pascolo. Della boscaglia addossata a qualche rilevo di poco conto, un paio di rivoli verso i canaloni in basso scorrevano lì da sempre, fin dal tempo degli etruschi.
Uno spiazzale, coronato da alcuni casaletti di inizio novecento, ospitava la residenza dei pastori. Che dal Gennargentu s’erano trasferiti lì da tempo, con tutte le loro famiglie e, soprattutto, con le loro pecore. Queste, incontrando finalmente l’erba verde ed umida della campagna romana, potendo bere a volontà, producevano latte in abbondanza ed in qualità.
Buona parte destinata ai maggiori caseifici del circondario.
Una minima porzione, per uso, così, familiare, veniva riservata alla produzione casareccia di formaggi ovini.
La vicinanza con la statale, la rinomata bontà dei prodotti, facevano sì che già la domenica mattina tutte le forme erano vendute ai visitatori di passaggio.